Le interviste a trecentosessanta gradi

Ultimi articoli
Newsletter

aperitivo con... ezio glerean

Le interviste a trecentosessanta gradi

Aperitivo Con... appuntamento con la rubrica, ospite Ezio Glerean

di Salvo Ferrara

Ezio Glerean
Ezio Glerean

Torna l'appuntamento con la rubrica Aperitivo Con..., le nostre interviste a 360 gradi. Oggi vi vogliamo far conoscere meglio un personaggio molto interessante. Abituato ad andare fuori dagli schemi tradizionali, e non soltanto nel calcio giocato, Ezio Glerean è il fautore del famoso 3-3-4 di stampo olandese.

Da Johan Cruijff a Luis Suarez, passando per Zdenek Zeman e Maurizio Zamparini: una carriera fatta di incontri importanti, pensieri, idee, ispirazioni e passione. Nel febbraio 2014 è uscito il suo libro intitolato Il calcio e l’Isola che non c’è. Ne parleremo, così come parleremo di quel Cittadella dei miracoli, i complimenti del boemo Zeman e quel modulo a cui si ispirò persino la squadra di calcio del film L’Uomo in più di Paolo Sorrentino. Un altro dei tasselli della carriera di Ezio Glerean che racconteremo riguarda la parentesi palermitana con un esonero, prematuro ed immeritato, giunto dopo una sconfitta alla prima di campionato.

Come si genera l’idea in Ezio Glerean di portare in Italia il 3-3-4?

Il mio 3-3-4 è un pò mutuato dall’Ajax di Johan Cruijff, visto che avevo fatto un’esperienza importante in Olanda. Poi mi sono ritrovato a sperimentare questo modulo a San Donà. Lì avevo degli attaccanti bravissimi come Soncin, Caverzan, De Franceschi e Polesel. Avevo trovato un giusto equilibrio dietro che mi permetteva di far convivere questi attaccanti. Il modulo era lo stesso, ma con dei movimenti totalmente diversi da quelli che faceva l’Ajax. Loro avevano gli esterni bassi che spingevano, i centrocampisti che si inserivano, gli esterni alti, Overmars e Finidi, che rientravano fino all’area di rigore. Invece io tenevo proprio alti i miei attaccanti, perché non erano soltanto esterni d’attacco, ma delle vere e proprie punte centrali che giocavano vicine. Un modo di stare in campo totalmente diverso, ma con lo stesso sistema di gioco. 

Cosa ricorda di quel 4-4 contro la Salernitana, la sfida al boemo Zeman con i complimenti nel post-partita?

Con Zeman ci conoscevamo prima del famoso 4 a 4 fra Cittadella e Salernitana. Avevamo fatto diverse amichevoli col San Donà quando lui allenava il Foggia. Avevamo un’amicizia in comune: il direttore sportivo dei pugliesi Giuseppe Pavone. Eravamo stati compagni di squadra ai tempi del Taranto. Zeman è stato un punto di riferimento per chi in carriera ha voluto provare i moduli offensivi. Ben presto in tanti hanno abbandonato questa idea. Adesso l’unico che sta facendo questo tipo di gioco, magari con una mentalità diversa riguardo alla difesa, è l’allenatore del Sassuolo Di Francesco, un bravo allenatore e, soprattutto, un bravissimo ragazzo. Tornando al 4-4, fu la partita fra due squadre che si divertirono giocando. La cosa più bella di quella giornata è che i calciatori, uscendo dal campo, erano felici di aver giocato quella partita. Effettivamente in campo non c’erano schemi, ma soltanto due squadre con tanta voglia di andare oltre. Poteva venir fuori un 8-8, ma anche uno 0-0. La cosa più importante è che le due squadre avevano voglia di andare al di là, cosa che adesso manca al nostro calcio. 

Dopo il Cittadella conobbe Zamparini e la piazza di Palermo, ma non fu un’esperienza fortunata…

Zamparini è un personaggio particolare. Io ho avuto modo di conoscerlo. Non siamo stati tanto insieme, però in quei pochi momenti ho notato che è una persona che ama davvero il calcio. Lo fa con passione. Vive il calcio in maniera sanguigna. Purtroppo non sempre ha avuto la fortuna di aver vicino delle persone che lo hanno consigliato bene. Nel mio caso aveva vicino una persona che lo ha consigliato in una maniera sbagliata, perché voleva fare i propri interessi probabilmente. Ha portato un giocatore come Zauli ormai a fine carriera per mandare via tre giocatori che io avevo sponsorizzato e volevo lì. Si trattava di tre giovani molto interessanti: Brienza, Mascara e Santana. Poi Zamparini li ha dovuti riprendere perché erano davvero validi. Io avevo puntato su questi tre giovani, poi davanti avevo Asta, Maniero, Di Napoli e La Grotteria. Avevamo un grande parco attaccanti. Ricordo anche Ongfiang, un ragazzo giovanissimo che il pubblico di Palermo aveva già adottato come beniamino. Spesso alcuni personaggi che fanno i direttori passano sopra alle qualità dei singoli. Zamparini è anche attento al mercato e fa in modo che i ragazzi vengano valorizzati. Negli anni di Palermo ha portato davvero tanti bravi giocatori, che poi sono andati in grossi club. Stiamo parlando di un grande conoscitore di calcio. Con lui ho avuto un buon rapporto. Se ci fossimo frequentati spesso, probabilmente le cose sarebbero andate diversamente. Lui era contento di quella squadra. Mi ricordo che dopo la partita amichevole con il Chievo dove vincemmo 3 a 1 era contentissimo del gioco espresso dalla squadra. Ricordo anche che la prima partita di campionato l’abbiamo disputata al termine di una settimana ricca di polemiche. Io avevo già capito che la mia avventura era prossima al termine. L’arrivo di Zauli aveva scombussolato il nostro modo di lavorare fino a quel momento. Eravamo partiti in ritiro con nove giocatori. Mi ci voleva un pò di tempo per mettere insieme questa squadra, ma eravamo arrivati bene. Con la Reggina perdemmo in Coppa Italia alla fine, facendo una buona partita. Loro andarono in rete a dieci minuti dal triplice fischio finale su punizione, perciò eravamo pronti per iniziare il campionato. Poi anche Arrigoni e Sonetti non cambiarono le sorti della stagione rosanero. Io penso che si debba tornare al Presidente Padrone, un Presidente che decide in piena autonomia cosa fare con l’allenatore. Tutti gli altri personaggi dovrebbero stare al secondo posto e non al primo posto. Noi, invece, abbiamo direttori e procuratori che comandano il calcio e non va bene. Io spero che Zamparini riesca a confermare Beppe Iachini. Non è sempre e solo colpa dell’allenatore. Iachini ha fatto bene in Serie B con la promozione, ha fatto bene lo scorso anno e ricominciare con tanti nuovi giocatori non è affatto semplice. Riconfermandolo lancerebbe un bel messaggio da Presidente. Le squadre vanno fatte da Presidenti e da allenatori. 

Nel 2014 è uscito il suo libro Il calcio e l’isola che non c’è. Quali obiettivi si è proposto con questo lavoro?

Io non sono uno scrittore. Ho messo giù queste idee, frutto delle esperienze che ho vissuto all’Estero, in modo particolare in Olanda. Il loro modo di concepire il calcio e di farlo con i giovani. Noi abbiamo perso la nostra cultura. I nostri Campioni sono nati nelle parrocchie, sono nati per strada. Fino ai tredici anni non hanno avuto degli insegnamenti. Basta pensare che gli ultimi campioni come Totti, Costacurta, Maldini, Baresi, Baggio, Del Piero, Mancini sono nati dalla parrocchia. Fino a tredici anni hanno giocato per strada, liberi di farlo senza allenatori, senza qualcuno che gli diceva quello che dovevano fare. Da quando sono nate le scuole calcio non abbiamo più creato Campioni. Anzi tanti bambini si iscrivono alle scuole calcio, però nessuno riesce a portare a termine il suo percorso. I talenti smettono prima, perché sono stanchi di avere qualcuno che gli dice quello che devono fare. Il gioco è fantasia e noi abbiamo perso la nostra identità, dobbiamo assolutamente ritrovarla. Io mi sono permesso di scrivere queste cose, invitato anche dai miei amici. Ho cercato anche di dar consigli ai genitori, figure nuove del nostro calcio. All’Estero hanno capito come coinvolgere questa figura, noi stiamo cercando di emarginarla. Cerchiamo di fargli fare soltanto i tassisti. Questo non va bene, perché il genitore è la componente più importante di questo nuovo calcio e va coinvolta nella maniera giusta in questa società. 

Nel 2001 il film L’uomo in più di Paolo Sorrentino in cui la squadra di calcio si ispira al metodo di gioco usato dal Cittadella di Ezio Glerean. Faceva notizia quel Cittadella…

Si, giocammo anche contro il Napoli in Serie B quell’anno. Il Cittadella faceva notizia perché effettivamente era una squadra composta da giocatori che arrivavano dall’interreggionale ed in 3-4 anni si sono ritrovati in Serie B. Nel torneo cadetto hanno mantenuto alto l’onore della categoria ed anche del gioco. Abbiamo espresso veramente un buon gioco. Il salto a Palermo pensavo potesse darmi l’opportunità di portare questo calcio a certi livelli. Mi è dispiaciuto il finale, per me è stata una grande delusione. Avevo accettato Zamparini pur sapendo che andavo incontro a delle difficoltà. Tuttavia avevo percepito la sua visione del calcio competente e pensavo che avrebbe capito che il mio era un gioco diverso, che ci sarebbe voluto del tempo per mettere in condizione gli attaccanti di fare un determinato tipo di calcio. In quelle amichevoli la squadra aveva giocato anche bene, aveva disputato delle buone partite. Io non mi sono mai legato a nessun procuratore. Pensavo alla meritocrazia e portavo avanti i miei pensieri. Credo di essere uno degli allenatori con più play-off in Serie C. Non basta più adesso questo elemento. Ci accorgiamo di tanti allenatori che arrivano a guidare una squadra senza alcun curriculum e magari continuano ad allenare dopo aver collezionato tanti esoneri. Bisogna tornare alla meritocrazia. Quel Cittadella era fatto da ragazzi che avevano la consapevolezza che giocavano per merito, affrontando dei Campioni. Parliamoci chiaro, quella Serie B non è assolutamente quella di adesso. Noi affrontavamo gente come Maniero, Di Napoli, Valtolina o Suazo. Perciò era un’altra Serie B e i risultati del Cittadella avevano un valore anche in relazione a ciò. 

Quale personaggio le ha lasciato qualcosa in più? 

Ricordo con maggiore affetto il mio allenatore al Genoa. Era Suarez, una grandissima persona. Un personaggio che farebbe bene al nostro calcio. Certi personaggi sono usciti troppo presto per fare spazio ad altre persone che col calcio non c’entrano niente. Bagnoli, Bolchi, Fascetti. Gente che poteva restare anche da dirigente come si usava una volta. I Presidenti si circondavano di queste persone che davano dei consigli e creavano educazione. Adesso abbiamo dei procuratori che fanno educazione sbagliata. Noi abbiamo avuto dei maestri. Abbiamo avuto un percorso fino ai tredici-quattordici anni diverso, liberi di giocare, di esprimere le nostre qualità, la nostra fantasia. E poi abbiamo incontrato questi personaggi. Io ho avuto la fortuna di incontrare Suarez, un campione che aveva appena smesso di giocare nella Sampdoria e veniva ad allenare la Primavera del Genoa. Era un piacere soltanto ascoltarlo. L’esempio che riporto sul libro è che veniva al campo con le scarpette sempre pulitissime sulle spalle e ci diceva queste sono vostre, non dovete darle al magazziniere. Dovete tenerle care. Io me le porto in camera, perché queste mi hanno fatto vincere il Pallone d’Oro e mi hanno fatto vincere tante cose. Giravano questi esempi, esempi che adesso facciamo fatica a dare ai ragazzi. Noi dobbiamo riprendere questo tipo di calcio. Dobbiamo iniziare a dire che certe persone devono stare fuori dal nostro calcio. Sono bravi in Olanda o in Belgio, in Spagna o in Germania a lasciar fuori i procuratori dalle società. Qui queste persone stanno troppo dentro e portano i ragazzi a vedere il calcio in una maniera totalmente diversa da quella che realmente è. Se noi appassioniamo i ragazzi, loro rimangono nel calcio. Noi non ci riusciamo, non riusciamo ad appassionarli. Ci vorrebbero figure adeguate, persone che hanno questo senso. Personaggi importanti come Baresi, Maldini, Del Piero non sono più coinvolti nel nostro calcio. Ed invece dovrebbero avere un ruolo di potere, di figura carismatica. Possono ad esempio frequentare il settore giovanile, affiancando e consigliando gli allenatori. Si deve ricreare questo spirito e solo così questo sport può ripartire. A Palermo, ad esempio, penso ad una persona straordinaria: Ignazio Arcoleo. Andiamo un pò indietro nel tempo e troviamo questo allenatore con delle idee bellissime. Il Palermo dei palermitani generava un grandissimo senso di appartenzenza. Penso sia una cosa bella per la città di Palermo avere dei giocatori palermitani in rosa. Aveva creato una scuola di pensiero con tanti ragazzi della strada. Molti di loro poi sono finiti in Serie A. 

Venerdì 2 ottobre 2015

© Riproduzione riservata

554 visualizzazioni

Commenti
Lascia un commento

Nome:

Indirizzo email:

Sito web:

Il tuo indirizzo email è richiesto ma non verrà reso pubblico.

Commento: