di Selene Grimaudo
Punti di vista
Giustizia e giustizialismo tra web e vita reale
Qual è la differenza tra giustizia e giustizialismo? Forse spesso non ci si pone il problema e un pò tutti sono soliti gridare al mostro facendosi trasportare dalle notizie riportate dai giornali, dai media digitali che poi rimbalzando sui social network, prendono forma, si amplificano, crescono e danno a tutti la possibilità mediatica di lapidare il cattivo di turno. La facilità con cui giudichiamo gli altri sta diventando una prassi che schiaccia, ormai, la dignità umana: quella del terminale del nostro giustizialismo, ma anche la nostra. Occorre fermarsi un attimo e discernere l’argomento con spirito critico ed equilibrio facendo anche una riflessione, con risvolti psicologici, sul perché l’uomo è contento di puntare il dito su qualcuno più cattivo di lui. In psicologia della colpa, infatti, questo atteggiamento viene analizzato come una proiezione inconscia dei nostri errori sugli altri a volte giudichiamo gli altri per occultare le nostre colpe. Mettiamo enfasi nei loro errori per evitare di essere noi il centro dell’attenzione altrui. Se parliamo di giustizia, allora stiamo facendo riferimento all’attività logica del giudice, consistente nell’applicare le norme di legge al fatto da lui accertato […]. In senso più ampio, e più comune, tutta l’attività che si svolge dinanzi all’autorità giudiziaria per giungere al pronunziato finale (così come riporta il dizionario Treccani). Se facciamo riferimento alla religione, il giudizio finale sulla nostra condotta terrena, per i credenti, verrà affidato ad un’entità divina superiore. Nel linguaggio quotidiano, invece, il giudizio, che si esprime verbalmente o per iscritto, è sinonimo di opinione, che ciascuno di noi ha: sulla gente, su un fatto, su una moda, sulla politica, sui episodi di cronaca, ecc. Le opinioni non sono giuste o sbagliate, si tratta di valutazioni soggettive che vengono date da una persona, in relazione ad un oggetto, concreto o astratto, sulla base di fattori emotivi vari, ma in genere influenzate anche dall’ambiente sociale. Le visioni personali, condivisibili o meno, rimangono delle opinioni e queste in generale, e sulle persone, nello specifico, possono essere suffragate da fatti e quindi possono dare una visione veritiera della realtà, oppure possono rivelarsi errate. Sempre più frequentemente e con la possibilità crescente offerta dai social, invece, con troppa facilità si esprimono, pubblicamente, opinioni negative sugli altri e altrettanto facilmente si diffondono in rete a macchia d’olio, sottovalutando il fatto che le nostre affermazioni colpiscono le persone, anche se queste non sono davanti a noi nel momento in cui le affermazioni vengono scritte o raccolte da mezzi di diffusione giornalistica. Insomma, la rete (e non voglio citare le ormai note affermazioni di Umberto Eco) è diventata come una grande piazza allargata di quello che era il piccolo cortile delle nostre nonne, con la differenza che ogni scritto rimane indelebile (anche se cancellato in un secondo momento, esiste lo screenshot) e ogni parola raggiunge un gruppo, un vasto pubblico che condivide le opinioni con gli amici e con gli amici degli amici. Spesso si assiste al contagio delle opinioni che per molte persone, che si lasciano andare ad istintivi commenti, senza diversificazioni di spirito critico, può diventare verità e assumere la connotazione di giustizialismo termine che è stato adottato nel linguaggio giornalistico per definire l’atteggiamento di chi, per convinzione personale o come interprete della pubblica opinione, proclama la necessità che venga fatta severa giustizia (magari rapida e sommaria) a carico di chi si è reso colpevole di determinati reati. Analizzando il caso di personaggi pubblici prima amati e poi odiati e vituperati dalle cronache, senza parlare di garantismo, ma applicando i concetti espressi precedentemente, sarebbe il caso, prima di scagliarsi contro qualcuno, aspettare il verdetto definitivo di un giudice che le convenzioni sociali e le mansioni ufficiali hanno decretato come chi è preposto a tale compito. Corretto è, dunque, attendere il pronunziato finale, ovvero la sentenza del terzo grado di Giudizio (dopo gli atti preliminari al dibattimento, segue il dibattimento, la deliberazione dei giudici e la sentenza), con la quale la Corte di Cassazione conclude il procedimento penale e le sentenze diventano cosa giudicata, ovvero definitivamente esecutive. L’indignazione per quanto di negativo accade, anche con fatti documentati da intercettazioni o filmati, ci porta, spontaneamente, a lanciarci in affermazioni denigratorie perché la società si aspetta, giustamente, integrità e correttezza da personaggi pubblici come politici o pseudogiornalisti ad honorem che siano, ma allo stesso modo, secondo un rapporto di reciprocità, anche i personaggi pubblici necessitano di essere trattati con la stessa correttezza che si pretende da loro. La correttezza, impone i passaggi obbligati dettati dalla Giustizia. Pertanto, le intercettazioni telefoniche, gli avvisi di garanzia, una sentenza di primo grado, seppur gravi, non decretano le sorti di una persona. In seguito, nel momento in cui la condanna diventa esecutiva, è corretto che chi ha sbagliato paghi, anche con il massimo della pena, se così è deciso, e ritirarsi dalla scena pubblica. In poche parole, questa è la differenza tra giustizia e giustizialismo. Sulla giustizia della Giustizia, si potrebbe, invece, disquisire a lungo, ma ricercando nei miei ricordi universitari nella materia di Storia delle dottrine politiche, concludo con l’idea espressa da Jean Jacques Rousseau nel suo trattato di filosofia Il contratto sociale, sintetizzandola nel seguente principio: le leggi sono le condizioni dell’associazione civile e nel momento in cui si stabiliscono, bisogna sottostare ad esse. Accettando le leggi e il giudizio espresso da chi le applica, si realizza la vera libertà, perché obbedire alle leggi significa obbedire a sé stessi.
Lunedì 9 maggio 2016
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